il cristiano non dorme
La causa di Dio, come anche il problema del-
le nostre virtù e,del nostro carattere domandano
di essere serviti con intelligenza e con coraggio.
Le qualità individuali possono variare, ma è pre-
ciso dovere di ciascuno non lasciare nulla di in-
tentato, nessuna facoltà inoperosa, e di usare i
doni di Dio nel modo migliore.
Ricordiamoci sempre che il primo peccato è
quello di non mettere in opera i nostri talenti, par-
tecipando con impegno di creature intelligenti al-
la divina operosità.
Il regno di Dio non nasce dal nulla, dalle no-
stre esclamazioni e dai nostri sospiri, e non basta
davvero pregare il padrone della messe perché man-
di operai qualsiasi nel suo campo; bisogna pregar-
lo perché mandi operai intelligenti, attivi, capa-
ci, pieni di iniziativa, di slancio e di costanza. A
noi cristiani non mancano le idee, la fede ci da una
meravigliosa riserva di energie morali, ma spesso
sembriamo incapaci di comprendere che la causa
della religione va difesa e conquistata in ogni cam-
po, dove gli altri si aspettano da noi una attiva te-
stimonianza della nostra professione cristiana.
Il cristiano intelligente non rimane addormen-
tato e passivo di fronte a nessuna circostanza del-
la vita, ma in tutte le cose scopre sempre un rap-
porto attivo di responsabilità, sa tessere una tra-
ma invisibile di consapevolezza. A un cristiano
non è permesso di essere assente davanti a nessun
problema sia di ordine ideale che di ordine prati-
co o di essere rinunciatario e neutrale come se que-
sta o quella cosa non lo interessassero affatto. Sia
nella scuola che sul lavoro, sia nella professione
che nella politica, chi si professa credente non può
separare la propria attività dalle norme morali del-
la sua fede, perché ogni insufficienza personale in
questo campo coinvolge la sua testimonianza.
Noi abbiamo il grande vantaggio di sapere il
fine e il perché della vita, e questo dovrebbe es-
sere un continuo stimolo a intuire, a capire, a in-
tervenire con una azione intelligente, volenterosa
e attiva. Un grande santo scrisse un giorno una
frase che dovrebbe essere una norma di vita, pic-
cola o importante che sia: «pregare come se tut-
to dipendesse da Dio, lavorare come se tutto di-
pendesse da noi ›>. Soltanto quando ci buttiamo
nell”azione con la certezza che il nostro contribu-
to alla vita è decisivo e importante pur nella sua
apparente piccolezza, soltanto quando abbiamo la
certezza che il bene si realizza anche attraverso il
nostro piccolo contributo di intelligenza e di ope-
rosità, allora possiamo mettere da parte le esita-
zioni della timidezza e la paura del dubbio e usci-
re dal nostro dolce far niente che è il vero grande
peccato contro lo spirito. Il Signore ha detto che
soltanto i coraggiosi e i volenterosi possono conqui-
stare il regno di Dio, ribadendo ,ancora una volta
il concetto che nella vita senza sforzo e lotta non
si ottiene assolutamente nulla. Come non si può
essere buoni senza lottare con intelligenza e con
chiarezza, così non si può essere portatori di bene
nel mondo pubblico e sociale subendo passivamen-
te le circostanze, come spaventapasseri che se ne
stanno fermi e passivi in mezzo ai campi di grano.
Certamente fare non significa strafare, agire con
intelligenza non significa essere degli sfaccia-
ti e degli impiccioni che fanno di tutto e non san-
no far nulla. Agire con intelligenza significa supe-
rare le opposizioni, gli ostacoli, cercare di essere
i testimoni di una fede che nel tempo realizza e
prepara i valori dell'eterno. Anche nelle piccole
cose quotidiane, anzi soprattutto nelle piccole co-
se di ogni giorno.
la lotta giornaliera
Molti pensano che il cristianesimo sia un sonnife-
ro, mentre è esattamente il contrario: nel cristia-
nesimo, la lotta è giornaliera e necessaria. E' così
che alla tenerezza del Natale succede la profezia
di Simeone, e all'augurio di pace per gli uomini di
buona volontà, la minaccia della spada. Neppure
Gesù e sua madre sfuggirono a questa inderogabi-
le legge dello spirito, che esige il prezzo da ogni
cosa che vale. La nostra salvezza avvenne con la
morte, mentre la maternità dello spirito ci fu data
attraverso il sacrificio più duro della maternità se-
condo la carne. Dovremmo ripensare a queste co-
se che forse sappiamo a memoria, ma che, per es-
sere diventate abituali, hanno perso ai nostri occhi
l'esemplare significato che dovrebbero avere anche
per noi.
Questo si verifica non soltanto nel campo ma-
teriale, ma soprattutto nel campo dello spirito e,
poiché i due campi sono inseparabili, si può par-
lare di una misteriosa bilancia sulla quale ora lo
spirito paga per il corpo, ora il corpo per lo spiri-
to; una bilancia che non sta mai ferma, come se in
quel movimento pendolare fosse nascosto l'intero
significato spirituale della vita. Certo è che il Si-
gnore non ci lascia mai in pace e talvolta pare che
si diverta ad agitare e tormentare il nostro piccolo
mondo, quasi temesse che, non facendo così, noi
diventiamo acque stagnanti, senza personalità e
senza freschezza. Ci da le sue grazie, ma a un cer-
to momento sembra che voglia togliercele perché
ciascuno se le riconquisti da sé. Ci da la luce del-
la fede e poi ci soffia sopra lasciandoci nel buio,
perché impariamo che la fede diventa veramente
nostra attaverso la tentazione e la prova. Non si
può davvero dormire sui doni di Dio, ed è un be-
ne che sia così. Se non ci fossero una << contraddi-
zione ››, un « mestolo forato ››, una << spada ›> pronti a
rovesciare, mettere in pericolo le nostre facili pro-
spettive, tutto sarebbe troppo gratuito e tanto po-
co personale da non potersi chiamare nostro. Sen-
za la tentazione e la prova, il nostro credere sareb-
be superficiale, mentre, riconquistato da noi, sele-
zionato dalla nostra quotidiana pazienza, esso acqui-
sta il fermo splendore che è necessario per scopri-
re e vivere il disegno di Dio nella vita.
Vi confesso che non posso capire cristiani che
parlano della fede in termini lirici o addirittura
semplici. In genere, si tratta di gente che non ha
maturato la propria fede, la quale è rimasta qual-
cosa di astratto che mai riuscirà a costruire una
vera personalità. Quando la fede ci investe in pie-
no e diventa responsabile riflesso di tutta la vita,
allora essa è bella ma difficile, consolante ma dura,
è una conquista passata attraverso una scelta che
lascia il segno nella nostra vita. Può .capitare a
quindici anni, a venti o a quaranta. Ma certamen-
te arriva il momento in cui le nostre convinzioni,
anche le più profonde, passano attraverso una
strozzatura. Ciò che crediamo è certezza o favola?
Le nostre preghiere arrivano a qualcuno sopra di
noi o si perdono nell'aria? Che senso hanno i miei
sacrifici, le convinzioni religiose, le mie speranze
invisibili, di fronte alla dura realtà che sembra
smentirle ogni giorno? Vale la pena lottare per
qualcosa che potrebbe essere un sogno? Esiste dav-
vero un disegno di Dio, oppure la vita è quello
che è, una sporca avventura nella quale i deboli
si affìdano alla speranza di Dio e i forti alle risor-
se del proprio coraggio? Vale la pena puntare tut-
to su qualcosa che sfugge alla misura umana? E
se tutto fosse soltanto una bella illusione?
E' questo il « segno di contraddizione ›> di cui
parla il Vangelo . La fede è la risposta a
tutti gli interrogativi umani, ma spesso quella ri-
sposta si oscura di fronte ai problemi e alla real-
tà della vita. E' il momento della prova, della spa-
da, del cielo spento. E' la notte, la notte, di Pie-
tro, la notte di Maria nel Vangelo , la not-
te di tutti, una notte che pesa dentro anche quan-
do le labbra sorridono e sulle cose splende allegra
e viva la luce del giorno. E” un momento che pre-
sto o tardi arriva per tutti, anche per quelli che
pensano di avere una fede << definitiva ››. Nessuna
fede è definitiva. Ma è bello e profondamente de-
gno dell'uomo, riconquistare ogni volta la giusta
prospettiva di Dio, anche se le cose cambiano in-
torno a noi e i nostri problemi sono ogni giorno
diversi, e una fede riconquistata.
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